Innovazione, conoscenza e futuro: il tempo della responsabilità

 

C’è un filo invisibile che unisce i grandi pensatori e gli innovatori del nostro tempo: la consapevolezza che l’innovazione non possa più essere lasciata a se stessa, come un’entità neutra o inevitabile.
In un mondo segnato da transizioni ambientali, fratture geopolitiche e diseguaglianze crescenti, l’innovazione è chiamata a scegliere da che parte stare. E, in questa scelta, la conoscenza e la cultura tornano a essere i veri motori del cambiamento.

/ Pensare nell'epoca dell'AI
Nel suo saggio La pelle. Che cosa significa pensare nell’epoca dell’intelligenza artificiale (Il Mulino, 2025) il filosofo Maurizio Ferraris smonta con eleganza il più diffuso degli equivoci contemporanei: quello che confonde i bit con i neuroni, gli algoritmi con la coscienza. L’intelligenza artificiale, scrive Ferraris, non ha pelle, non ha corpo, non ha dolore. Non pensa, processa. E per questo non può sostituire il pensiero umano, ma solo ampliarne le capacità. Un invito alla sobrietà intellettuale, in un’epoca dove il linguaggio del marketing ha travestito da rivoluzione antropologica quella che resta – pur potentissima – una trasformazione tecnologica.

/ Il trilemma della libertà
Ma il nodo non è solo filosofico. È anche politico. Ne Il trilemma della libertà (La Nave di Teseo, 2025) Gabriele Giacomini affronta il triangolo instabile che tiene in equilibrio il potere delle Big Tech, l’autorità dello Stato e la libertà dei cittadini. L’innovazione, dice, tende a schiacciare uno di questi attori a vantaggio degli altri due. L’esito può essere l’autoritarismo digitale, il laissez-faire predatorio o – più raramente – una democrazia partecipata, dove la tecnologia è governata e non subita. Per Giacomini, la chiave è la responsabilità collettiva, un patto tra istituzioni, società civile e imprese per orientare l’innovazione verso il bene comune.

/ Il Pianeta Acqua
Jeremy Rifkin, visionario economista che ha ispirato il Green Deal europeo, spinge ancora oltre lo sguardo: nel suo manifesto Chiamiamolo Pianeta Acqua (Mondadori, 2024), propone di rinominare la Terra in “Planet Aqua”, per ricordarci che è l’acqua – non il silicio – la vera infrastruttura della vita. Mentre il potere è concentrato nelle piattaforme digitali, l’ecosistema fisico si ribella. L’alternativa è un Blue Deal globale, un’economia distribuita che unisca rinnovabili, bioregioni resilienti e intelligenza artificiale al servizio della rigenerazione ecologica. Un modello che supera la Silicon Valley e mette al centro la geografia, la cura dei territori, la comunità.

/ L’AI europea
Intanto, nel cuore dell’Europa, si gioca una partita strategica. L’AI europea non punta a diventare la nuova OpenAI, ma a integrare l’intelligenza artificiale nei processi industriali, rendendola una commodity diffusa e regolata. Startup verticali, normativa sui dati equilibrata e coinvolgimento dei lavoratori sono le leve di una nuova via europea alla tecnologia. Lo spiega bene un recente articolo de Il Foglio: l’industria manifatturiera può diventare il motore di un’innovazione non più guidata solo da colossi della Silicon Valley, ma da una pluralità di attori locali e settoriali.
In Italia, la situazione è più complessa. L’ecosistema delle startup innovative cresce, ma a ritmo rallentato. Il credito d’imposta per incubatori e acceleratori, sbloccato dal decreto Urso-Giorgetti, rappresenta un passo avanti importante: un beneficio fiscale fino a 40.000 euro per investimenti nel capitale di startup, con l’obiettivo di rafforzare le prime fasi della vita imprenditoriale. Tuttavia, come osserva Il Sole 24 Ore, restano diverse fragilità sistemiche: la frammentazione normativa, la scarsità di capitali di rischio e una cultura d’impresa ancora troppo orientata al breve termine.

/ Investire sulle persone
Eppure alcune storie fanno intravedere un cambio di passo. Come quella di Diyala D’Aveni, 33 anni, CEO del fondo Vento sostenuto da Exor, che in tre anni ha investito in oltre 100 startup italiane. La sua è una visione lucida: «L’idea conta poco. Investiamo su persone eccezionali, con esperienze profonde e relazioni solide». Niente unicorni, ma radici forti e competenze solide. Una via italiana al venture capital, che passa per Torino, le Officine Grandi Riparazioni e una nuova generazione di imprenditrici che parlano di visione, etica e coraggio.

/ Indicatori di felicità e benessere
In questo scenario, i libri tornano protagonisti. Non solo come veicoli di sapere, ma come strumenti di orientamento. Leggere Giacomini, Ferraris o Rifkin significa decodificare il presente, rifiutare le narrazioni semplicistiche e riconnettere l’innovazione alla dimensione umana e sociale. È la via indicata anche da Bologna 2050, l’evento che propone di sostituire il PIL con nuovi indicatori di felicità e benessere: salute, ambiente, libertà. Un cambio di paradigma che parte dalle scuole, dalle università, dai laboratori della conoscenza.

L’innovazione, allora, non è solo una questione di algoritmi, ma di significato. Non basta più sapere cosa può fare la tecnologia. Dobbiamo chiederci: per chi, per cosa, con quali conseguenze. È il tempo di un’innovazione matura, radicata nella cultura e nella responsabilità. Una nuova stagione, dove pensare – davvero – torni ad essere l’atto più rivoluzionario.

/ Fonti
• Corriere del Mezzogiorno, 2 giugno 2025: Autoritario, economicista o democratico
• Corriere della Sera, 2 giugno 2025: «Cosa cambierà il mondo? Rinnovabili, AI, stampanti 3D. E nella Silicon Valley le big tech spariranno»
• Italia Oggi, 3 giugno 2025: Intelligenza umana e artificiale
• Il Foglio, 3 giugno 2025: Il futuro dell’AI in Europa? Non creare giganti, ma usare l’industria
• La Stampa, 8 giugno 2025: “Dal negozio Eataly alla guida di Vento. Torino culla di startup”
• Corriere di Bologna, 5 giugno 2025: La ricerca della pubblicità

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